Riflessioni sui ciddì multimediali.

cdzippato.jpg

Se partiamo dal principio che “multimediale” è un messaggio che utilizza più canali di trasmissione in modo sincretico (e a volte abilmente sinestetico), un CD è multimediale in senso davvero ristretto.
O, meglio, in senso opposto.
Intendo dire che invece di utilizzare diversi media per diffondere i suoi contenuti, li raccoglie comprimendoli. È quindi una multimedialità in entrata e non in uscita.
Una multimedialità centripeta e non centrifuga.
In fondo, a ben vedere, un libro raccoglie testi e immagini.
Un CD raccoglie testo, immagini, suoni e video. È più multimediale di un libro per questo? A me pare che le vecchie “Fiabe sonore” (illustrazioni stupende!), distribuite negli anni ’60 con allegato il 45 giri, poi con l’audiocassetta e ora con il CD audio, fossero già allora etimologicamente ben più multimediali dei moderni ciddì.
Certo, i CD offrono la possibilità di essere interattivi, e questo è un altro termine abusato che troviamo anche nella minestra che mangiamo. In effetti l’interattività della maggior parte dei ciddì è pari a quella di una scatola di ceci: se non la apri non la mangi.
Lo “scambio”, il dialogo, all’origine della definizione di interattività di un CD si concretizza nella possibilità, da parte dell’utente, di scegliere il percorso da seguire definendo la sequenza di consultazione. L’accidentalità della navigazione (come in un sito) è solo apparente, in realtà ha sempre una sua logica, l’utente la definisce all”interno di possibilità comunque limitate, e di questo l’autore di un prodotto di questo tipo tiene ben conto. E viaggio viene organizzato.
Da questo punto di vista una navigazione offline (ciddì) è molto più limitata di quella online (rete).
La partecipazione attiva è quindi illusoria: il ciddì è interpassivo.
Se togliamo quindi al CD la suggestione da imbonitore dovuta ai termini multimediale e interattivo, cosa succede? Per non ritrovarci un oggetto svuotato e privo di ogni senso dobbiamo fare affidamento sui contenuti, sulla loro qualità, sul loro valore [in]formativo. L’informazione non è più merce pregiata (qui ci sarebbe da scrivere per mesi). La formazione dovrebbe esserlo (anche qui).
Gli studenti sono in grado di accedere alla rete e consultare, frugare, trovare una marea di informazioni. La sovrabbondanza di queste (l’assordante silenzio) e il consumo iperveloce di ogni nozione, determinano l’annullamento di ogni velleità interattiva, quando per interattivo si considerino anche la riflessione e la memoria, la digestione e la metabolizzazione dei ceci in scatola già menzionati. Nuovi obiettivi didattici si impongono, quindi, per evitare che le opportunità vadano perdute in una navigazione senza bussola.
Che un editore non consideri tutto questo (per incompetenza, per miopia, per profitto) è dato di fatto e trova – secondo l’oggetto e il fine di un’analisi, molte quelle possibili – molteplici “giustificazioni” .
Che non lo facciano molti insegnanti, però, mi intristisce di più. Non c’è giustificazione alcuna, se non la pigrizia intellettuale e/o la volontà di arroccarsi su posizioni comode.
La differenza sostanzialmente sta nel fatto che gli editori hanno motivi (economici/politici) per non farlo.
Gli insegnanti (alcuni? molti? non tutti) non hanno, semplicemente, voglia di sbattersi.